venerdì 26 luglio 2024

UNA FEDE DA TRAMANDARE


Adesso Gianni aveva bisogno di farsi una birra. Forse anche di un paio. Gli ultimi due gironi trascorsi, che coincidevano con i primi di vacanza, erano stati complicati, agitati, duri.

Doveva riordinare le idee, calmare i pensieri negativi e riappropriarsi del proprio spirito.
Si infilò nella “Taberna di Iker”, inzuppato di pioggia e di vento, nei vestiti e nell’umore, con il leggero lamento di sottofondo della fidanzata Francesca.
L’asfalto viscido l’aveva fatta cadere per terra e il suo ginocchio si stava gonfiando lentamente ma inesorabilmente.
Una taberna ad un tiro di schioppo dalla spiaggia della Concha, là dove il mare e il vento entrano nella città basca di San Sebastián attraverso i pertugi del “Pettine del Vento”, opera scultorea dell’artista Eduardo Chilidda, nella parte occidentale della splendida baia affacciata sul mar Cantabrico.
Forse, arrivare a Donostia, perché così la chiamavano qui, senza nessuna prenotazione, non era stata la migliore delle idee, soprattutto in periodo di Semana Granda. Non avere un letto sicuro dove poggiare lo scheletro la notte era un pensiero che lo agitava e turbava. Ma turbava soprattutto Francesca.
Si arrangiarono in un piccolo campeggio a 20 chilometri da San Sebastián per la prima notte. Montarono in fretta e furia una piccola tenda che per fortuna avevano portato nel baule della loro Fiat “Punto”, una situazione di emergenza, ma non certo di piacere.
Pioggia e vento però non sembravano concedere tregua, e già dallo loro arrivo in città, le temperature autunnali più che per il mese di Agosto, avevano contribuito a rendere quell’inizio vacanza faticoso e pesante.
Gianni tirò un lungo sorso dalla pinta e la schiuma della birra, sapientemente spillata dall’oste, gli inumidì i baffi che da qualche tempo teneva con cura.
Dal piccolo impianto stereo sopra il bancone della taberna, uscirono le note del nuovo pezzo dei Red Hot Chili Peppers, “By the way”, e anche lui, come il protagonista del testo ambientato a Los Angeles, si sentiva perso e in balia degli eventi in questo pezzo di terra chiamato Paesi Baschi.
Si, perché qui non eravamo in Spagna e nemmeno in Francia. Questo lo aveva capito subito al volo, dai muri, dalla gente e dalla lingua praticamente indecifrabile.
Alzò gli occhi sopra l’entrata della taberna, vide due fotografie, ingiallite, incorniciate e ingrandite a misura importante. Si rese subito conto che fossero qualcosa di serio, un piccolo altare, a cui tutte le persone in quei luoghi rendevano omaggio.
Una fotografia ritraeva due giocatori, probabilmente i due capitani, all’entrata in campo di una partita, con una bandiera che tenevano entrambi stretta in mano.
L’altra foto invece immortalava, un tiro in porta di un giocatore baffuto, con la maglia biancoblu a strisce verticali. Capì subito che si trattasse di un gol storico.
Iker, il padrone della taberna, lo guardò in silenzio, vide l’interesse sincero di Gianni per quelle immagini e decise di raccontargli la storia.
Parlava bene l’italiano, complice una relazione amorosa di qualche anno con una ragazza di Pisa, conosciuta proprio a San Sebastián. Una relazione che gli aveva lasciato qualche rimpianto di troppo ma anche una buona conoscenza della lingua di Gianni.
Iker, era un uomo che accarezzava ormai la cinquantina d’anni, capelli radi e alcuni chili di troppo da portare nei pantaloni.
Attaccò bottone in un attimo e Gianni in pochi secondi si trovò in campo.
Camminò idealmente dietro ai due capitani di Real Sociedad e Athletic Bilbao in una domenica di Dicembre del 1976. Quella bandiera che stringevano fra le mani, creata artigianalmente e fino ad allora dichiarata illegale dal regime franchista, divenne il manifesto dell’indipendenza basca.
Kortabarria e Iribar tenevano i lembi della “Ikurrina” che per la prima volta dai tempi della Guerra civile sventolava in pubblico senza che ci fossero rappresaglie. Poco tempo prima, l’allora ministro dell’Interno spagnolo Manuel Fraga Iribarne aveva ribadito che «quella specie di Union Jack» era un insulto agli spagnoli. «Prima di esibire questa bandiera dovranno passare sul mio cadavere» aveva sentenziato.
Del 5-0 per la Real Sociedad di quel giorno si ricorderanno in pochi, rispetto a quello successo prima del fischio iniziale. Per giorni la stampa non parlò d’altro. Nelle città basche furono organizzati cortei per chiedere di legalizzare la bandiera, Madrid cedette alle pressioni. Il 25 gennaio 1977, per la prima volta, spuntò sul balcone di un palazzo istituzionale di Pamplona.
Gianni prese fiato, incantato dal racconto di Iker. Un racconto zuppo di orgoglio, come i suoi vestiti bagnati dalle intemperie di quei giorni. Poco dopo si ritrovò seduto su una vecchia Seat 133 in direzione Gijón. Un fiume di macchine che da San Sebastián si stava dirigendo verso la città asturiana. Trecentocinquanta chilometri di speranza, sogni, tensioni e trepidazione, perché quello è il giorno in cui la Real Sociedad avrebbe potuto vincere il suo primo titolo della Liga spagnola.
26 Aprile 1981. La storia bussò alla porta della Real Sociedad a 12 secondi dalla fine.
Pioggia a dirotto e fango sul campo di Gijón, con i bianco blu sotto di una rete e di un punto dal Real Madrid. Dagli spalti una distesa infinita di ombrelli, di tifosi baschi con l’animo quasi allo stremo. Un’ultima palla buttata al centro dell’area di rigore, un’uscita goffa del portiere avversario, un primo tentativo di tiro, sbilenco, e la sfera giunse sui piedi di Jesus Maria Zamora (per chi crede anche ad eventi divini) che infilò il 2-2 definitivo. Il resto è storia. La storia di una squadra che vinse il titolo spagnolo per differenza reti, la storia di una notte che per tanti rimarrà indimenticabile e che Iker racconta con le lacrime agli occhi e la pelle d’oca che affiora improvvisa.
D’istinto Gianni capì che quello era il suo destino calcistico: tifare per la Real Sociedad.
Un destino calcistico che non lo aveva mai incastrato nei confini italiani.
Non era mai stato un bambino da figurine Panini e non aveva avuto un padre stressante per l’eredità di tifo, semplicemente gli piaceva il calcio, lo aveva anche giocato da bambino, ma non aveva una squadra da tifare in serie A.
Non gli era mai importato più di tanto.
Il destino ora lo stava travolgendo e la casacca biancoblu della Real Sociedad entrò prepotente nella sua vita.
Nei giorni di permanenza a San Sebastián continuò a frequentare Iker e la sua taberna, divennero amici, si lasciarono i rispettivi indirizzi mail e prima di andarsene da quella città che stava diventando amica, comprò una maglia della Real Sociedad in un negozio sportivo. La prima maglia da calcio della sua vita.
Quello che non poteva nemmeno lontanamente immaginare era che la stagione 2002-2003 che stava per iniziare, sarebbe stata la più esaltante da tanti anni a quella parte per i colori biancoblu.
Le mail periodiche con Iker lo facevano sentire parte integrante del tifo per la Real Sociedad. Iker gli raccontò tutto della storia del club e l’orgoglio di tifarlo.
A Marzo del 2003 arrivò sulla casella di Gianni, una mail da Iker, contenente un allegato. Con la complicità di Francesca, Iker gli regalò dei biglietti aerei per raggiungerlo a San Sebastián il mese successivo. La mail terminò con “preparati che ho tre biglietti dello stadio per Real Sociedad-Real Madrid”.
Pianse di gioia e commozione, avrebbe visto la sua squadra dal vivo, in una partita fra le due principali contendenti al titolo della Liga.
Il 13 Aprile del 2003, andò in scena una delle opere d’arte calcistiche più incredibili della storia della Real Sociedad.
Dopo mezz’ora dal fischio d’inizio il tabellino riportava “Real Sociedad 4, Real Madrid 1 “.
Kovacevic, Nhiat, Xabi Alonso e soci fecero fare comparsa ai vari Roberto Carlos, Figo, Zidane, Ronaldo e Raul. I biancoblu baschi capirono che il titolo si poteva conquistare. Lo stadio “Anoeta” esplose di felicità al fischio finale, un 4-2 che rimase scolpito nella storia del club. Fu una notte di festa nelle strade di San Sebastián, una festa contagiosa. Gianni e Francesca assaporarono quelle sensazioni di felicità a pieni polmoni.
La taberna di Iker quella sera sembrò essere il posto più fantastico del mondo, tra boccali di birra, balli sfrenati e abbracci fraterni. Una serata indimenticabile, una fra le quattro o cinque che avrebbero ricordato per il resto della loro vita.
Poi però, poco a poco nel giro di qualche settimana, si spense la luce.
Il peso di trovarsi prima in classifica schiacciò le prestazioni della Real Sociedad che nelle ultime tre giornate di campionato, lasciò il titolo al Real Madrid.
Un altro viaggio di speranza accompagnò i tifosi biancoblu fino a Vigo nella penultima di campionato.
La stessa carovana di auto di vent’anni prima, gli stessi sogni, gli stessi sguardi e le stesse preghiere, poi tramutatosi in imprecazioni e pianti per la sconfitta finale e il sorpasso delle merengues in classifica.
Gianni in Italia seguì gli eventi attaccato al Televideo della Rai. Ad ogni aggiornamento in tempo reale una fitta di emozione e ansia lo assalì. Quando capì che il titolo era svanito, pianse di delusione e tristezza.
Non si capacitò di come il destino gli avesse girato le spalle, facendogli toccare prima il cielo e poi raschiare il fondo del barile nel giro di così poco tempo.
Quella sensazione lo accompagnò per anni.
Una sensazione di impotenza e smarrimento, come quando la Real Sociedad retrocedette in seconda divisione nel 2006 o quando veniva di fatto escluso dai discorsi calcistici con gli amici al pub, colpevole di tifare una squadra strana, in solitario. Questi particolari lo rendevano agli occhi degli altri una sorta di “matto calcistico”. Ma in fondo a lui piaceva non mischiarsi con gli altri e coltivava in segreto il giorno della sua riscossa.
Il 3 Aprile del 2021, in periodo di lockdown nazionale, le ore sembrarono non passare mai.
In serata si sarebbe disputata la finale di Copa del Rey, tra la Real Sociedad e l’Athletic Bilbao. Gianni tremava di paura e ansia.
Il covid bastardo si era preso l’amico Iker di recente e il divieto di spostamento dall’Italia gli aveva impedito un ultimo doveroso e rispettoso saluto fraterno. Accese la televisione e nonostante l’assenza di pubblico e un ambiente asettico, il suo cuore pulsava come non mai per l’agitazione. Addosso la stessa maglietta biancoblu comprata vent’anni prima a San Sebastián, la gola impastata e la saliva azzerata dalla tensione.
Al fischio finale che sanciva la vittoria della Real Sociedad, il suo primo trofeo da tifoso, si sentì leggero come una piuma, pianse copiosamente, singhiozzò di felicità e girandosi assaporò la sua vittoria più grande.
Il figlio Luca di dieci anni, con una bandiera della Real Sociedad avvolta a mantello sulle spalle, saltava e gridava di gioia sul divano.
Quella pazza fede poteva continuare ad essere tramandata. 



Dedicata a Christian Lafauci


DP

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