venerdì 26 luglio 2024

ROBERTO BAGGIO


 Chissà cosa passava nella testa di Helmuth in quei giorni di inizio Giugno del 1986. I primi sussulti estivi di Bucarest gli accarezzavano la pelle in modo gentile e sotto i baffi che portava con orgoglio, un sorriso compiaciuto si allargava radioso sul suo viso. D’altronde, da qualche tempo era diventato il personaggio più amato e ricercato di Romania, un ruolo che a dirla tutta, in vita sua non avrebbe di certo disdegnato. Merito di una partita di calcio, di una vittoria sorprendente, contro il grande Barcellona, da parte di una squadra rumena, e proprio in terra spagnola.  La prima squadra rumena a vincere la Coppa dei Campioni. Una vittoria ottenuta ai calci di rigore, dove il portiere si erse ad assoluto protagonista neutralizzando tutti i tentativi dei catalani, ammutolendo i sessantamila tifosi “di casa”. Quell’estremo difensore, dalla divisa verde e le lunghe braccia cadenti alle ginocchia era proprio lui: Helmuth Duckadam, “l’eroe di Siviglia”. Delle feste mai viste prima di allora furono organizzate al ritorno in patria; divenne in breve tempo una star ben voluta e ammirata dall’intera nazione. Avrà pensato allora, che ad un eroe sarebbe stato concesso tutto, anche dei commenti poco ortodossi sul governo della Romania, un governo a lui mai piaciuto fino in fondo, ma evidentemente Ceausescu non la pensava cosi. Helmuth era un “sopportato” dal regime, che di certo non lo poté oltraggiare nel suo momento di massima celebrità popolare, ma che di sicuro non lo vide di buon occhio per via di alcuni atteggiamenti, della sua etnia tedesca, del suo cognome che non terminava con “escu”,  del suo guardare con curiosità verso l’occidente e soprattutto, cosa che si saprà in seguito, per essersi rifiutato di partecipare a delle “combine” riguardanti la sua Steaua, la squadra dell’esercito, e ordinati dall’alto. Un personaggio che si tenne volentieri in disparte, che mai dichiarò apertamente il suo attaccamento al governo rumeno e che lasciò spesso ad altri compagni di squadra i lustrini della gloria popolare. Quei suoi occhi, sempre velati di quella malinconia tipica dei transilvani, si muovevano curiosi in quei giorni di festa, lesti ad intercettare le parabole della sua inaspettata popolarità e pronti a prendere il primo treno che lo portasse lontano da lì. Il suo tempo in Romania pensò fosse finito finalmente. Perché crescere a Semlac negli anni 60 fu tutt’altro che una passeggiata. In quell’angolo di Transilvania, terra famosa perlopiù per le avventure di Dracula, e comandato dal regime comunista, sognare una vita  altrove era la fondamentale spinta per cercare di levarsi da quei luoghi di povertà e miseria. “Oltre la foresta” è il senso etimologico della parola Transilvania, ma anche il manifesto speranzoso di chi solo per sfortuna era nato in quei luoghi selvaggi intorno al fiume Mures, composti da tante isole boschive e piccole lingue di sabbia, proprio a ridosso del confine rumeno-ungherese. Un territorio di confine. Con tutto quello che ne poté conseguire,  tra processi migratori per motivi economici e richieste di autonomia interni. Una regione dove si parlavano una decina di lingue diverse tra loro. Qua nel 1959 nacque Helmuth Robert Duckadam, uno che “oltre la foresta” ci voleva andare davvero. Troppo pigro per giocare fuori, prese presto posto fra i pali, ruolo che gli venne quasi spontaneo per via del suo fisico atletico e i grandi riflessi. Dopo la notte di Siviglia, si interessò a lui il Manchester United, ma il regime, proprietario della Steaua Bucarest, disse di no. Questione di principio, di far capire chi comandava veramente e poi arrivarono strane voci sul conto di Duckadam. In giro si mormorò che avesse ricevuto in regalo una macchina Mercedes, dal Real Madrid, come ringraziamento per aver battuto il Barcellona. Un rumeno però non poteva andare in giro con una macchina del genere, ne andava del prestigio del governo, una cattiva pubblicità per il regime che tutto voleva tenere sotto la sua ala protettrice. Helmuth non ne volle sapere di cedere anche questa volta ai comandi dall’alto, troppi i soprusi di cui era stato vittima e troppi i pestaggi e le sparizioni a cui aveva assistito per assecondare di nuovo il volere statale. Il destino però era in agguato, bastardo e viscido. Dopo pochi mesi dalla magica notte andalusa, Duckadam sparì definitivamente dalle scene calcistiche. Una trombosi ad un braccio dirà il diretto interessato e mai smentirà forse con una punta di vergogna, ma la versione più accreditata fu che gli avessero rotto le braccia quelli della Securitate, poiché non volle consegnare al figlio del dittatore Ceausescu la sua Mercedes, e per alcuni frasi di troppo sul regime dello stesso. Lo spedirono altrove, licenziato dall’esercito e messo a mezzo servizio senza pensione integrativa. Divenne poliziotto di confine, una vita a cercare di scappare  “oltre la foresta” per poi ritornarci dentro malinconicamente.

DP

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 Settembre 2005