venerdì 26 luglio 2024
ROBERTO BAGGIO
E poi si spense la luce. Come se quel pallone calciato sopra la traversa di uno stadio a stelle e strisce americano si fosse frantumato contro un lampione di una piazza italiana e improvvisamente avesse causato un blackout sull’intero suolo italico. Rimanemmo al buio per diversi minuti, esausti e sconcertati. Roberto Baggio aveva appena fallito un calcio di rigore in una finale dei campionati del Mondo di calcio. Ci aveva tradito proprio lui, cazzo…a dirla tutta anche se avesse segnato quel rigore avremmo dovuto sperare poi in un errore dei brasiliani per continuare a giocarcela, ma il fatto che la matematica sconfitta fosse sancita da quel tiro alto nel cielo di Pasadena, ci gettò nello sconforto. Per noi ventenni del 1994, Roberto Baggio, pronunciato con nome e cognome per distinguerlo da Dino (meno propenso alle giocate di classe e più alle legnate) era il nostro messia. Quello che senza ombra di dubbio ci avrebbe portato in cima al mondo. Lui era il più forte giocatore italiano mai esistito e ce lo stavamo gustando e godendo noi, come se fosse una questione scontata. I nostri vecchi continuavano a menarla con Gianni Rivera e quel somaro di Valcareggi, per la manciata di minuti a Città del Messico, noi avevamo Roberto Baggio. Pensavamo di essere invincibili. In più avevamo un credito con la fortuna: solo una uscita a vuoto di Zenga quattro anni prima ci aveva tolto la vittoria casalinga. I mondiali americani trasudavano caldo e sudore dalla televisione e noi che ci riunivamo in un bar del centro storico, piccolo e angusto, volevamo provare le stesse sensazioni. Sudorazioni eccessive, birre a poco costo e grandi imprecazioni, come se ci trovassimo a giocare anche noi ai quaranta gradi americani dell’ora di pranzo. Il pertugio trovato all’ultimo istante con la Nigeria mise a tacere anche gli ultimi miscredenti che vacillavano sull’esito finale del mondiale. Uscimmo dal bar urlando: “Roberto Baggio! Roberto Baggio!”. Il messia si era mostrato nel momento più opportuno. Spagnoli e bulgari furono messi in angolino ad ammirare la nostra cavalcata verso il titolo. Solo quella gamba malconcia di Roberto ci dava noia e preoccupazione. Dalle radio uscivano i Blur. Girls and boys, storie di amori estivi, di ricerca di se stessi, di una vacanza spagnola a breve, non prima di aver racimolato quattro soldi con un lavoretto stagionale. Non ci mancava nulla ed in più avremmo vinto il mondiale di calcio. Ne eravamo sicuri. Quando la luce si riaccese dopo quel rigore, eravamo nudi e senza scudo. È come se quella sera fosse finito il periodo spensierato e si entrasse in qualcosa di più grande. Come se qualcuno ci gridasse nelle orecchie: “Benvenuti signori, c’è un mondo qua fuori e non saranno sempre rose e fiori”.
DP
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