venerdì 26 luglio 2024

MIRTA E RAMON


 Mirta non ci capiva niente di calcio, ma adesso stava iniziando a detestare quell’olandese di cui tutti avevano parlato per la sua assenza in Argentina, e che giocava con un’insolita maglia numero 14. Fuori dalla sua finestra della casa di Buenos Aires, un fiume di gente in festa si stava riversando nelle strade. Bandiere bianco azzurre all’aria, clacson squillanti e stelle filanti. È il 25 Giugno del 1978 e da pochi minuti l’Argentina ha appena conquistato il primo campionato del Mondo della sua storia. Quell’olandese, che in Argentina non c’era, si diceva per le scarse condizioni fisiche, per paura di venire rapito insieme alla famiglia o per contrasto con il regime del paese di Mirta, stava diventando nei suoi pensieri un nemico. Se era così bravo come dicevano gli uomini in giro in Argentina, se aveva vinto per tre volte la Coppa dei Campioni (che in verità manco sapeva cosa fossero, ma le avevano spiegato che valevano quanto le Copa Libertadores per cui tutti sbavavano) avrebbe dovuto giocarlo quel mondiale. E vincerlo. A lei in fondo bastava che non lo vincesse l’Argentina. Lei era una madre di Plaza de Mayo e tutto quello che aveva organizzato Videla, fosse politica o un mondiale di calcio, lo detestava con tutte le sue forze. Tutti i giovedì mattina da oltre un anno, si legava un fazzoletto bianco in testa e si recava in Plaza de Mayo a Buenos Aires per manifestare in maniera pacifica ma decisa sulla scomparsa di suo figlio, e con lei altre madri colpite dalla stessa sventura. Suo figlio Ramon, capello lungo fluente come il suo idolo Mario Kempes, era un “desaparecido”, un militante di sinistra, scomodo ai vertici governativi argentini. In quegli anni l’Argentina stava vivendo uno dei suoi periodi più bui con il governo del dittatore Jorge Rafael Videla. Nel marzo del 1976 i soldati argentini si ribellarono a Isabelita Peron sotto la guida del generale Videla, che in seguito si proclamò presidente a vita prendendo il comando della Junta militare. Subito il generale attuò una repressione senza precedenti nei confronti della sinistra: decine di migliaia di persone appartenente ad essa o ai sindacati furono arrestate e torturate. Nacque il caso dei “desaperecidos”. Nel periodo tra il 1976 e il 1983 scomparvero tra le 10.000 e le 30.000 persone e molte di esse furono uccise. Tale carneficina era prevista dal regime golpista che mirò a ripristinare l’ordine nel paese. In un clima di terrore e paura, il dittatore Videla quasi impose la vittoria del campionato del mondo di calcio, il regime militare argentino si aspettava una vittoria per ottenere una legittimazione interna al paese. Il calcio degli argentini fu arrogante al punto di non tener conto degli avversari. Un movimento calcistico che aveva offerto campioni del calibro di Sivori e Angelillo non poté più permettersi di rimane a secco nell’albo d’oro mondiale. Al mondiale argentino partecipò anche la nazionale azzurra giudata da Enzo Bearzot. In un’Italia sconvolta dalle uccisioni ad opera dei terroristi delle Brigate Rosse (famoso il caso del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro) la nazionale azzurra portò una ventata di ottimismo fra la gente e non a caso quella squadra rimarrà  fra le più amate di sempre. Fu la nazionale del “blocco Juve”, con ben 9 giocatori bianconeri che parteciparono alla spedizione argentina, ma soprattutto fu  il mondiale di Pablito Rossi, lanciato a sorpresa titolare da Bearzot dopo aver vinto il titolo dei cannonieri di serie A con 24 reti con cui portò il suo Lanerossi Vicenza al secondo posto finale. Bearzot provò una soluzione nuova per l’attaccò azzurro: Rossi unica punta, Causio e Bottega finte ali, pronte ad inserirsi in avanti ma anche a dare una mano a centrocampo, forse il reparto più deficitario. Gli azzurri produssero il miglior calcio del mondiale e dopo aver battuto la Francia per 2-1 e l’Ungheria per 3-1, si tolsero la soddisfazione nell’ultima partita del girone di sconfiggere i padroni di casa argentini con un gol di Bobby Bettega. Nei gironi dei quarti di finale che dava ad una sola squadra il diritto di qualificarsi per la finalissima, l’Italia prima impattò con la Germania Ovest, poi sconfisse l’Austria con un gol di Rossi. Si arrivò all’ultima partita contro l’Olanda, una sorta di semifinale. Gli orange avevano gli stessi nostri punti ma il vantaggio di una migliore differenza reti. Per gli azzurri, obbligati a vincere a tutti i costi,  le cose si misero subito bene. Dopo 19 minuti un autogol di Brandts sembrò spianare la strada verso la finale. Nell’intervallo Bearzot sostituì Causio con Sala, credendo di dover dare fiato al Barone in vista della partita successiva. Ma gli azzurri crollarono impietosamente sotto i colpi di Brandts e Hann che con due tiri da distanza notevole uccellarono Zoff. L’Italia concluse quarta, sconfitta nella finalina dal Brasile di Dirceu. Nell’altro girone dei quarti di finale avvennero cose stranissime, anzi normali. A Rosario l’Argentina avrebbe dovuto segnare almeno quattro gol al Perù per estromettere il Brasile per la differenza reti. Ne segnò addirittura sei al portiere Quiroga, naturalizzato a tempo di record dal Perù pur non avendo rinunciato ad essere argentino. Quel giorno si dimenticò di fare il suo mestiere, quello appunto di parare e non ebbe nemmeno il comune senso del pudore di provare a fingere. Alla finalissima tra Argentina e Olanda partecipò anche il nostro Gonella in veste di arbitro dell’incontro. Arbitro alquanto distratto, tanto da non vedere dopo pochi minuti tre denti di Neeskens volare nell’aria dopo una gomitata assassina di Passerella. Segnò Kempes, pareggiò Nanninga. L’arbitro Gonella ammonì due olandesi mentre lasciò agli argentini licenza di picchiare indisturbati. All’ultimo minuto l’olandese Resenbrink colpì il palo della porta argentina. Passerella affermerà in seguito che se quel pallone fosse entrato Gonella avrebbe trovato un motivo per annularlo.Nei supplementari Kempes e Bertoni regalarono finalmente il titolo agli argentini per la gioia del generale Videla. Goleador di quei mondiali fu Kempes (l’idolo di Ramon) con 6 reti, il quale fu uno dei pochi a festeggiare sobriamente la vittoria in quanto contrario ai metodi di governo del generale Videla. Mentre Daniel Passatella alzava la coppa del Mondo, Mirta si sentì svuotata e ancora più sola. Quella vittoria avrebbe portato consenso popolare ancora maggiore a Videla,  e lei con le altre madri, vista ancora con più superficialità e meno importanza. Videla aveva dato al popolo argentino quello che desiderava da tempo: un titolo mondiale. Il resto sarebbe stato contorno di poco conto. Lentamente prese sonno fra pensieri inquieti e l’animo in frantumi.  Fece un sogno strano quella notte, sognò di volare libera sopra la città di Buenos Aires sospinta solo dalla sua forza di volontà che le permetteva di spiccare il volo da terra e planare senza difficoltà sopra i tetti delle case. Si svegliò carica come non mai, decisa a far valere le proprie ragioni e cercare la verità su suo figlio con decisione ancora maggiore del solito. Quello che purtroppo non poteva sapere è che anche suo figlio Ramon aveva effettuato un volo qualche tempo prima. Era sopra infatti ad uno di quei maledetti “vuelos de la muerte” da cui i militari argentini gettavano nelle acque del Mar de la Plata, i corpi nudi e inermi dei dissidenti di sinistra.

DP


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